Tassa sulla plastica, cop 21, approccio CSR… Lo sviluppo sostenibile è diventato una delle questioni principali poste all’attenzione dell’opinione pubblica e dei policy-maker in tutti i settori commerciali, anche nella ristorazione. Quest’ultimo anzi è uno dei settori dove questa tematica si fa più urgente, dal momento che gli attori sono anche “consumatori”.
Al fine di fornire soluzioni concrete a problemi quali la conservazione delle risorse, la lotta agli sprechi, la riduzione dell’impronta di carbonio o l’uso di prodotti monouso, molte aziende e startup stanno proponendo modelli di consumo sostenibile incoraggiate e acclamate da varie parti.
Secondo uno studio pubblicato da Metro in collaborazione con Bocconi Green Economy Observatory, ogni settimana dalle cucine di ogni ristorante e pizzeria finiscono in pattumiera oltre 600 litri di scarto. In Italia, un primo passo è stato fatto con la legge contro lo spreco alimentare (Legge Gadda) del 2016 che facilita le donazioni di prodotti invenduti e incentiva riuso e riciclo.
Attorno a questo tema sono nate molte iniziative: pensiamo alla campagna Spreco Zero, al progetto no profit Bring The Food, o alla startup italiana MyFoody e a quella danese Too Good To Go. In Francia, il sindacato del settore horeca ha sviluppato una guida di buone pratiche contro lo spreco alimentare, come l’obbligo della raccolta differenziata o lo sviluppo di un menù con vocazione e prodotti locali. Sempre in Francia, lo chef stellato Christopher Coutanceau è conosciuto per la sua forte opposizione alla pesca ad impulsi elettrici che non solo sta distruggendo l’ecosistema marittimo europeo, ma sta anche mettendo in ginocchio le piccole economie marittime.
Un altro aspetto su cui è interessante soffermarsi è lo sviluppo sostenibile sempre nella ristorazione, ma applicato al food delivery, in particolare la questione del packaging, della preservazione dei cibi e dell’igiene. Sull’onda di richieste sempre più pressanti da parte dell’opinione pubblica, il Consiglio dell’Unione Europea ha vietato molti prodotti in plastica usa e getta (tramite la direttiva del 5 giugno 2019) favorendo il passaggio a materiali come bambù o la fibra di canna da zucchero. Dovendo già rispondere ai problemi legati al mantenimento della qualità dei prodotti e dei trasporti, il vincolo ambientale è ora una delle nuove sfide!
Questi cambiamenti, che generano necessariamente un costo aggiuntivo per il ristoratore, possono essere un investimento redditizio: oltre ad avere un impatto ecologico positivo, è comunque una grande opportunità per capitalizzare l’immagine del marchio, dal momento che molti consumatori sono ormai fortemente sensibili al loro impatto sull’ambiente.
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